TI SEI LESIONATO LA CUFFIA DEI ROTATORI?

TI SEI LESIONATO LA CUFFIA DEI ROTATORI?

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TI SEI LESIONATO LA CUFFIA DEI ROTATORI?

Partiamo facendo una premessa: non tutte le persone che presentano lesioni a carico dei tendini della cuffia dei rotatori hanno dolore o limitazione funzionale.

Questo articolo è rivolto a tutti coloro che il dolore lo avvertono e per i quali alcune di queste situazioni potrebbero risultare familiari:

  • dolore alla spalla che si presenta a riposo e specialmente durante la notte e che impedisce spesso di compiere un sonno ristoratore;
  • dolore che si presenta durante movimenti attivi come sfilarsi una maglia, infilarsi un cappotto, pettinarsi, allacciarsi la cintura di sicurezza, ecc.;
  • progressiva riduzione dell’ampiezza dei movimenti che può rendere difficoltosa l’esecuzione delle normali attività quotidiane.

Molti gesti, apparentemente semplici, possono risultare dolorosi perché favoriscono la compressione o l’allungamento del tendine o tendini interessati dalla lesione.

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Conosciamo più da vicino il complesso articolare di cui stiamo parlando.

La spalla rappresenta, in tutto il corpo umano, l’articolazione dotata di maggior mobilità. La sua struttura anatomica, infatti, consente tre gradi di movimento che le permettono di svolgere anche quello di circonduzione. Questa grande escursione però la rende anche più vulnerabile.

Quest’articolazione è composta da strutture ossee quali: omero, scapola e clavicola. Il suo funzionamento dipende dall’ intervento coordinato di più articolazioni, dalla forza contrattile dei muscoli e dalla resistenza passiva delle strutture capsulari e legamentose.

Le strutture attive che stabilizzano l’articolazione gleno-omerale, oggetto del nostro esame, sono i quattro muscoli che avvolgono la testa omerale come una vera e propria cuffia, chiamata CUFFIA DEI ROTATORI, e sono: il sovraspinoso, il sottoscapolare, il sottospinoso, il piccolo rotondo.

Questi quattro muscoli, contraendosi in maniera coordinata, mantengono la testa dell’omero compressa e centrata contro la glena (superficie articolare della scapola).

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Quali sono le cause della lesione?

Quando parliamo di lesione della cuffia dei rotatori la causa principale è rappresentata da una graduale degenerazione del tessuto tendineo.

Le lesioni sono rare infatti in pazienti di età inferiore ai 40 anni anche se possono comparire in atleti di giovane età come risultato di un’instabilità o di attriti che si formano tra capi ossei e tendine.

Ma come mai tra tutti i tendini presenti nel corpo quelli della cuffia dei rotatori manifestano una maggior percentuale di lesione? Gli studi hanno dato diverse spiegazioni. La causa potrebbe essere il progressivo invecchiamento dei tessuti, i movimenti ripetitivi quotidiani o l’esistenza di una zona critica poco vascolarizzata del tendine (il sovraspinoso è il tendine maggiormente interessato da quest’ultima causa).

Anche i traumi e le cadute hanno una loro importanza, ma solitamente secondaria poiché se la cuffia dei rotatori è sana e il soggetto è giovane, è raro che il trauma provochi la rottura dei o del tendine.

I tendini della cuffia, come dicevamo, sono interposti tra due strutture ossee: omero (osso del braccio) e arco coraco-acromiale (tetto osseo che fa parte della scapola); il fisiologico contatto tra le due componenti porta ad un’usura lenta e progressiva.

Questa usura interessa maggiormente le persone che possono presentare un alterato equilibrio dei muscoli stabilizzatori della spalla e che svolgono movimenti a “rischio” tra i 60° e i 120° di elevazione.

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Quali sono le lesioni candidate alla chirurgia?

Attualmente si consiglia un trattamento chirurgico nei pazienti di età inferiore ai 65 anni ed un trattamento conservativo in quelli meno giovani dai 65 anni in su.

Solo alcune lesioni della cuffia dei rotatori sono chirurgiche e scoprire da un’ecografia o da una risonanza magnetica la rottura tendinea non equivale alla necessità di intervento.

Occorre in primis conoscere il paziente, la sua età, il suo stile di vita, la sua attività lavorativa, ecc..

Solitamente per le lesioni parziali (il tendine presenta una rottura di uno strato delle sue fibre, non di tutto lo spessore) viene consigliato un trattamento conservativo, ma se persiste dolore o impotenza funzionale si può ricorrere alla chirurgia.

Le lesioni a tutto spessore del tendine, se non sono molto estese e se sottoposte ad un adeguato trattamento fisioterapico, possono dare disturbi contenuti o addirittura diventare asintomatiche, lasciando una buona funzionalità.

Tali lesioni ,se non opportunamente trattate o se non vengono corretti i fattori biomeccanici che le hanno provocate, possono estendersi, con un’accentuazione della retrazione tendinea e dell’involuzione adiposa,  fino a diventare massive.

L’evoluzione è concreta se stiamo parlando di un paziente giovane, sotto i 65 anni, di un paziente che presenta dolore refrattario al trattamento fisioterapico o di un paziente che effettua lavori pesanti.

Perciò è importante consultare un ortopedico specialista della spalla per l’eventuale indicazione chirurgica.

La soluzione chirurgica prevede una sutura tendinea effettuata in artroscopia a cui si associa un debridment e/o un acromioplastica.

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In cosa consiste il trattamento conservativo?

Il trattamento conservativo può prevedere un  breve periodo di riposo durante il quale può risultare utile l’utilizzo di terapie fisiche come la laser terapia ad alta potenza  o la tecar terapia. L’obiettivo di questa prima fase è la riduzione del dolore e dell’infiammazione.

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Successivamente è indispensabile proseguire il trattamento con tecniche di terapia manuale ed esercizi attivi e di rinforzo muscolare. In questa fase, può essere molto utile l’utilizzo della piscina riabilitativa. Sotto la guida del fisioterapista il paziente in acqua, infatti, può eseguire movimenti di maggior ampiezza e con minor dolore rispetto ai movimenti eseguiti a secco.

 

A seconda della sede della lesione si punterà maggiormente al rinforzo di alcuni gruppi muscolari rispetto ad altri. Inizialmente si proporranno esercizi semplici e con bassi carichi per poi aumentare gradualmente sia l’intensità del carico che la complessità dell’esercizio, associando esercizi di propriocezione. Per propriocezione intendiamo la consapevolezza e il controllo della posizione del corpo nello spazio; gli esercizi proposti varieranno in base all’età e agli obiettivi da raggiungere e avranno come obiettivo quello di stimolare il sistema neuro-motorio nella sua globalità.

Il trattamento conservativo riveste quindi un ruolo molto importante nel trattamento delle lesioni di cuffia, ma se dopo 4- 6 mesi il paziente non raggiunge risultati soddisfacenti l’indicazione chirurgica acquista maggior valore.

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E se la scelta è chirurgica?

Nel caso in cui la scelta sia orientata verso il trattamento chirurgico è sempre consigliabile eseguire un trattamento preoperatorio di modo che il paziente giunga nelle migliori condizioni possibili all’intervento con vantaggi considerevoli per il recupero successivo.

Se è stato eseguito l‘intervento di riparazione, totale o parziale, è previsto un periodo di protezione, in cui verrà utilizzato un tutore allo scopo di favorire la cicatrizzazione dei tessuti riparati. Tale periodo può variare in base alla gravità della lesione, alla qualità dei tessuti e alle indicazioni chirurgiche.

È molto importante che in questa fase il paziente venga stimolato ad attivare la muscolatura dell’arto non operato in modo da accelerare la guarigione e ridurre il dolore post-chirurgico.

Secondo gli ultimi studi scientifici, infatti, mantenere il corpo attivo dopo un intervento o un trauma riduce lo stress, diminuisce la paura del movimento ed aumenta la motivazione del paziente.

Trascorso il periodo di protezione si procede con una graduale mobilizzazione passiva della spalla in tutti i piani dello spazio, rispettando le suture. A circa un mese dall’intervento è consigliato iniziare la riabilitazione in acqua sotto la guida del fisioterapista con l’inserimento di movimenti sui tre piani dello spazio. L ‘acqua agevola il recupero funzionale ed è gradita dai pazienti.

A circa due mesi dall’intervento si possono praticare attività leggere ed inserire esercizi di rinforzo con resistenze elastiche mentre per le attività più impegnative occorre aspettare circa quattro mesi dall’intervento.

Tutto questo percorso è un programma flessibile di lavoro che dipende dal tipo di paziente che abbiamo di fronte e dalle indicazioni chirurgiche. La collaborazione tra professionisti è fondamentale per studiare un piano riabilitativo personalizzato per la guarigione ottimale di chi si affida alle nostre cure.

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a cura di Veronica Vitellozzi

  • Fisioterapista
  • Terapista Manuale OMT

 

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